Monday, May 25, 2009

Nagoya

Eri un nome e oggi sei la mia città

Da Sign & Design


Dopo Roma, la città eterna, con i suoi monumenti, le vestigia del grande impero, le fontane, le piazze, i vicoli di Trastevere, e la chiara percezione che il malgoverno è la cosa eterna che ci tramanderemo sempre di generazione in generazione. Dopo Londra, musicale, moderna, con le sue gallerie, le sue feste, i sui pub, e quel fiume sulle cui rive riposano le immagini mitiche delle copertine dei giornali, delle riviste e degli album di musica. Dopo Parigi, la città dell'amore, con i suoi boulevard, i caffè, i musei, le chiese, i romanzi su Belleville e tutti gli altri su tutto il resto, e il freddo che gela il corpo ma non il cuore. Dopo l'India, con i suoi odori, la sua natura possente, le gente povera che non la puoi toccare, i suoi templi e i suoi santoni, le palme a cocco e le grandi città. Bombey e quella religione che invade tutto e per metà ti salva e metà ti uccide.
Dopo tutto il mio viaggiare è proprio a Nagoya che riscopro il gusto di cercare, di studiare, di creare. Tra quei sui palazzi di vetro e cemento un po' minuti per una grande città, che sembrano una Tokyo dentro una palla di vetro, di quelle che le capovolgi e scende la nave o petali rosa di "sakura" che sarebbe meglio. Nel quartiere di Akamon tra i mille negozi, e il milione di voci, sei fermo tra due mondi, la provincia e la grande città. Sei fermo al bordo di una grande strada e qualcuno ti chiede da dove vieni e allora ti fai due chicchere con uno sconosciuto. Prendi un caffè da Starbucks, tra l'Emporio Armani e Luis Vitton, e poi con la bici e scivoli via verso le periferia. Passi sotto piccola ruota panoramica di Sakae, attraversi qualche migliaia di metri di centri commerciali, ristoranti e pacinko e poi ritrovi il cielo e i tetti bassi delle case a due piani, massimo tre. Giusto all'incrocio di Yagoto qualcuno deve aver pensato sarebbe stata una buona idea costruire dei palazzi un po' più grandi per ricordarci che non siamo a Tokyo e neppure al centro di Nagoya.
Dopo la collina di casa mia si cominciano a vedere i primi campi di riso. Come in un vecchio ricordo molto lontano, di una città che non ricordo il nome, ma che aveva i campi dietro la collina di casa mia.

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